Il lusso del ghiaccio d’estate

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Testo rielaborato da:

Andrea Brugnoli

Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona

Verona illustrata a tavola. Agricoltura, alimentazione e cucina in una città e nel suo territorio, Verona, La Grafica editrice 2018 https://www.lagraficagroup.it/verona-illustrata-a-tavola/

 

LA DOMANDA DI GHIACCIO A VERONA

I Veronesi sembrano aver avuto una particolare predilezione per l’uso del ghiaccio, fin da tempi antichi, per rendere piacevoli le bevande durante la calura estiva.

Nel 1350 il fiorentino Fazio degli Uberti, nel suo Dittamondo, si meravigliava appunto per la dimensione del commercio di ghiaccio nel mercato veronese, cosicché tutti ne potevano disporre: «Novo mi fu, di ch’io presi piacere, / Trovar nel sol del cancro [cioè in piena estate] in su le some / Vender il ghiaccio a chi ne vuole avere». In realtà doveva trattarsi di un consumo d’élite: non a caso il ghiaccio era destinato in particolare alla corte scaligera e, nei secoli seguenti, era parte degli omaggi che venivano fatti ai rettori veneziani al momento del loro ingresso in città. In una di queste occasioni, ai primi del Quattrocento, l’umanista Giorgio Maffei compose dei versi di accompagnamento in cui ci informa tra l’altro della provenienza del ghiaccio, donato dagli antri di Cona di Sant’Anna d’Alfaedo («qui nomen Conna habet»: il cui nome è Conna).

Non a caso si tratta di una località della Lessinia: le tecniche per mantenere il freddo erano infatti state elaborate in quest’area per rispondere alle esigenze della produzione dei latticini durante l’alpeggio e da qui erano state esportate nei palazzi di città e nelle ville di campagna con le giassare, strutture interrate destinate appunto a rendere sempre disponibile del ghiaccio per la conservazione dei cibi e il raffreddamento delle bevande.

LA MODA DEL VINO GHIACCIATO

La domanda di ghiaccio, in particolare tra XVI e XVII secolo, risponde a una vera e propria moda gastronomica che “impone” di bere vino ghiacciato. Si tratta di una prassi che in questi secoli si caratterizza anche per gli eccessi tipici dell’età barocca, come ci rappresenta Teofilo Folengo quando descrive alcuni cardinali che, nelle giornate piú calde, sotto il rosso cappello tracannano ottimi vini con ghiaccio («Qui cum giazza maiori tempore caldi / Optima tracannant sub rosso vina capello»: che nella stagione più calda sotto il rosso cappello tracannano ottimi vini con ghiaccio).

Questa pratica trovava all’epoca fieri avversari al pari di accesi sostenitori. Tra i primi si pone Adriano Grandi, che ne Le bellezze di Verona (1617), fedele al dettato canonico della medicina salernitana per la quale la digestione era una sorta di “cottura”, stigmatizzava la pratica locale di usare nevi o ghiaccio per raffreddare i vini: «Perché quel vostro ber con le pruine / O ghiacci, e nevi, al fin cagiona in voi / Stemperanze di stomachi, e ruvine». Scientifico sostenitore dell’uso del ghiaccio è invece il medico veronese Alessandro Peccana, che pubblica nel 1627 – sulla scia di numerosi precursori – un’opera intitolata Del bever freddo, in cui le laudatorie premesse, opera anche di eminenti concittadini, sono pressoché tutte centrate sui pregi del rinfrescare il vino. «È fresco il vino; / & il saper addíta / Che quanto è fresco piú; tanto è piú sano», verseggia per esempio Marco Locatelli, evidentemente compiaciuto nell’aver trovato conferma scientifica al proprio piacere.

Una particolarità veronese, rispetto al panorama italiano, sembra comunque la prassi di mettere direttamente il ghiaccio nel vino. Altrove si raccomanda invece il raffreddamento per induzione, mettendo i recipienti nella neve o nel ghiaccio o utilizzando un ulteriore contenitore con il refrigerante da immergere nel liquido. O, ancora, si potevano usare appositi recipienti dotati di camere separate per il ghiaccio e per il vino, quali le cantimplore descritte da Francesco Redi nel suo Bacco in Toscana

LA FESTIVITÀ

Ricorre domani, 5 agosto, la festività della Madonna della Neve. Secondo la tradizione, la chiesa di Santa Maria della Neve a Roma sarebbe stata fondata dal patrizio Giovanni e da papa Liberio, ai quali era apparsa in sogno la Madonna a indicare il luogo di costruzione con una miracolosa nevicata in agosto. 

 

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